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RECENSIONI

 

 

Georges Simenon, Il sospettato

 

Georges Simenon, «Il sospettato»

La scelta dell'anarchico Pierre

di Giorgio Montefoschi

 

Pierre Chave, il protagonista de Il sospettato, il romanzo di George Simenon che Adelphi pubblica a trent’anni dalla sua morte, è un anarchico francese che, avendo disertato, si è rifugiato a Schaerbeek, una cittadina del Belgio, con sua moglie Marie e un bambino piccolo. Chave, che i compagni ammirano e tengono in grande stima non solo per le sue idee, ma anche per il modo con il quale sa esprimerle («Erano tutti dei disgraziati — ed erano in buona fede! Lo ascoltavano a bocca aperta perché sapeva parlare meglio di tutti quanti e riusciva a tradurre in frasi incisive quel che loro pensavano in modo confuso»), è un vero anarchico, ma nello stesso tempo è contro la violenza e il sangue. A Scherbeek, per sbarcare il lunario, fa la comparsa di terz’ordine in una modesta compagnia teatrale, e anche il direttore del palcoscenico, il factotum. Vive in un appartamento più che modesto: una di quelle case anguste in cui si sente l’odore del cavolo bollito, il ronzio della stufa che scalda male, il rumore lontano dei treni, l’aria soffocante di chiuso. Una sera, quando ancora non è tornato dal lavoro, bussa alla porta un compagno che viene da Parigi, tale Barone, chiamato Baron. Deve vedere a tutti i costi Pierre. Per quale motivo? Perché il circolo anarchico parigino ha organizzato un attentato: una bomba nella fabbrica di aeroplani di Courbevoi, sulla Senna, ed è bene che lui lo sappia. Marie risponde: «Mio marito è fuori». Baron esce, va a cercarlo e lo trova. Subito, Chave abbandona il teatro, prende una bicicletta, monta su un treno, di nascosto passa la frontiera e arriva in Francia.[...]

Adelphi pubblica in questa settimana Il sospettato un romanzo alla lettura del quale le riflessioni fin qui fatte potrebbero apparire didascaliche. Ma non è così (e anche questo me lo dico da solo). 

Pierre Chave, ideologo anarchico, parte da Bruxelles per Parigi per sventare un attentato in una fabbrica di aerei a opera di un giovane anarchico, Robert, che ha conosciuto anni prima e ha preso cuore per il vissuto drammatico. Problema: Pierre è ricercato, non a Bruxelles (dove vive con Marie e un figliolo gracile) ma (guarda guarda) a Parigi. È dunque una fuga rovesciata, masochistica, quella di Pierre, che più s’avvicina – per sventarlo – al luogo dell’attentato, più diventa un indiziato che attraversa Parigi come su una mappa, tanto che pare di vederlo come fosse il puntino blu di un’applicazione per la consegna a domicilio. 

Per tutta la lettura monta il presentimento che per lui finirà male, che il destino gli lavorerà contro per invalidare il buon fine della missione: ed è proprio in quest’attesa che il gioco simenoniano del sospetto funziona al suo meglio. Perché proprio nel romanzo in cui il sospettato è dichiarato fin dal titolo, il sospettato non c’è: quello che monta è l’ansia che lo diventi, l’attesa della rovina che si abbatta sull’innocente; così come non c’è delitto se non uno, secondario e consumato in un rigo, di cui a stento conserviamo memoria, come uno dei tanti imbroglioni che spesso appaiono fra le pagine dei romanzi di Simenon, che l’autore tratteggia con magistrale velocità, come a dirci che non c’è storia senza comparse, e anche l’irrilevanza dei fatti incidentali appartiene all’emozione del racconto. [...]

fi.

Nera come le bandiere dell'Isis. Subito interrogata, la memoria collettiva della Rete risponde in un nanosecondo: sì, a Schaerbeek (grosso modo l'equivalente, per Bruxelles, di Sesto San Giovanni per Milano, ma questo lo diciamo noi) c'era il covo dei terroristi islamici responsabili delle stragi del 22 marzo 2016 all'aeroporto di Zaventem e alla stazione della metropolitana di Maelbeek.

Ma qui, nella finzione letteraria de Il sospettato di Georges Simenon (Adelphi, pagg. 140, euro 18, traduzione di Marina Karam, che torna oggi nelle nostre librerie dopo l'edizione Mondadori del '53), ci spostiamo indietro di un'ottantina d'anni, e a Schaerbeek abita, con moglie e figlioletto, un uomo idealmente avvolto in un altro tipo di bandiera nera, quella dell'Anarchia. Si chiama Pierre Chave, e vive lì in quanto ricercato dalla polizia francese, perché ritenuto un pericoloso agitatore politico, fra l'altro disertore. Sbarca il lunario come tuttofare in un teatro, una triste recita che, se intimamente lo umilia, gli serve a tenere in piedi la famigliola. Pierre è un teorico, un intellettuale che pubblica articoli qua e là, ma non è (in ciò risiede il nucleo della narrazione) un cattivo maestro; al contrario, lui è un buon maestro, un maestro dotato di cuore, oltre che di mente, e vuole porre rimedio ai danni che stanno per fare i suoi scriteriati allievi, i quali lo considerano, a torto, un nuovo Lenin o un nuovo Savonarola. Quei disgraziati, laggiù a Parigi, ultimamente stanno subendo la letale influenza di un fantomatico K., esule polacco, e alle idee vogliono anteporre la propaganda del fatto, un fatto criminoso: l'esplosione di una bomba in una fabbrica di aerei a Courbevoie.[...]

Stéphanie Polack, Come un fratello

Scrivere per gli assenti

Con un'intervista a Stéphanie Polack

di Maria Camilla Brunetti - Doppiozero

 

Nel 1957 Jacques Fesch è il rampollo di una famiglia alto borghese della regione di Parigi. In quell’anno è giustiziato nel cortile del carcere della Santé, a Parigi. Precisamente Il 1° ottobre 1957, giorno del suo ventisettesimo compleanno. Ghigliottinato. La Francia dovrà aspettare ancora quasi venticinque anni perché, nel 1981, la pena capitale sia definitivamente abolita dal codice penale. Il 10 settembre 1977 Hamida Djandoubi viene giustiziato a Marsiglia. L’ultima esecuzione del Paese.


In Come un fratello (traduzione di Marina Karam, Edizioni Clichy) Stéphanie Polack affronta un viaggio senza concessioni nella vicenda privata di una ricca famiglia francese, la sua, riportandone alla luce il rimosso. È guidata dall’immagine di un ragazzo biondo come un arcangelo. Lui è l’innominabile di famiglia, lo scialacquatore, l’assassino di cui nessuno parla. Quel ragazzo è Jacques Fesch. Il bambino viziato che sognava gli orizzonti dei grandi oceani. Il fannullone e il santo. Ha dieci anni Diane, voce narrante e riflesso di Polack, quando da un baule nello scantinato della grande casa di famiglia, affiora da un libro un’immagine. La bambina inizia a chiedere, vuole conoscere. Cosa ne è stato di quel ragazzo? Qual è la sua storia? Nessuno parla. Quelle domande non danno seguito a risposte e la folgorazione infantile si muta in ossessione. [...]

Fesch. Pietà per l'assassino

di Fulvio Panzeri - Avvenire

 

"La Polack ha una misura emozionale estrema nella sua scrittura, ben evidenziata dalla bella traduzione di Marina Karam, e ci racconta due erranze: la sua, attraverso Diane e l'ossessione del ricordo di Jacques Fesch, e quella dell'assassino convertito che sembra riportare ad un film del grande Bresson (...). Del resto la Polack spiega le ragioni del suo interesse verso "un'indagine" interiore, non certamente facile, nella figura di Antigone e "dalla sua volontà di rendere sepoltura ad un fratello reietto, contro la legge", ma non solo. Antigone per lei diventa "un'imago di Cristo. Una figura che provoca scandalo, ma che obbedisce solo alle proprie leggi interiori". [...]
 

Fesch Jacques: la sua storia in Come un fratello

di Marina Bisogno - C'è vita su Marte

 

Questa storia, misconosciuta ai più, la racconta in “Come un fratello” (Edizioni Clichy, traduzione di Marina Karam) Stéphanie Polack, nipote di Fesch, scrittrice. Quando a Parigi nel 2012 viene pubblicato questo romanzo, la Polack è già una delle voci più interessanti del panorama letterario locale. Per Paris Match “Come un fratello” è un’opera magistrale. E lo è, difatti. Non solo per la storia torbida, conturbante che rievoca. Ma anche per la struttura e lo stile. Una scrittura lacerante, fredda, laconica ripercorre i fatti, pubblici ma anche personalissimi, intrecciandoli con le vicende del personaggio narrante. Il punto di vista muta: io, tu, lei, lui. E la verità assume connotazioni caleidoscopiche. Vincono il dubbio e un poco di pietà.  [...]

Mio zio, un dandy sulla ghigliottina

di Fabio Gambaro - La Repubblica

 

"Una vita buttata via. Nella pagine di 'Come un fratello', Stéphanie Polack si tuffa nei meandri della memoria familiare per riportare alla luce l'esistenza maledetta di suo zio Jacques Fesch, un giovane di buona famiglia che nel 1954, a ventiquattro anni, durante una rapina uccise un poliziotto. Arrestato e condannato a morte, sarà uno degli ultimi francesi a finire sulla ghigliottina. Con una scrittura febbrile e nervosa, a tratti sensuali e a tratti lancinante, la scrittrice francese scava nelle reticenze collettive per risolvere il rebus del giovane dandy assassino".  [...]

1954, il ragazzo di buona famiglia va alla ghigliottina

 Il Trentino

 

Una storia torbida, conturbante. Una scrittura lacerante, fredda, laconica. Dove s'affacciano dubbio e  pietà [...]

André Stern, Non sono mai andato a scuola

"Io, mai a scuola" La sfida di André autodidatta felice e vincente

di Andrea Tarquini - La Repubblica

 

Crescere , vivere da bambino e poi diventare adolescente e adulto, apprendere cultura generale e lingue, tecniche, musica e altre arti. Nell'Europa plasmata dall'Illuminismo è il cursus che, per diritto e dovere, è gestito, in ogni vita, dalla scuola. Ma davvero è l'unica via? No, altre strade sono possibili. Almeno se hai la fortuna di avere per padre un pedagogo rivoluzionario, celebre intellettuale europeo del dopoguerra, e per mamma una geniale ex insegnante di scuola materna.

Questa è la storia di André Stern, figlio appunto del padre della pedagogia alternativa Arno Stern e di Michelle amore della sua vita: André ha imparato tutto a casa, con l'aiuto della famiglia, di amici, di insegnanti improvvisati. E da adulto ha una vita felice e realizzata, musicista, compositore, liutaio, giornalista e scrittore. Il suo libro di confessioni, riflessioni e ricordi autobiografici – Non sono mai andato a scuola, storia di un'infanzia felice, appena uscito in Italia per i tipi della casa editrice Nutrimenti – ci narra questa esperienza straordinaria. [...]

E se abolissimo le scuole?

di Roberto Carnero - Avvenire

 

Si discute di scuola e delle innovazioni in atto nel mondo della scuola. Ma se a scuola decidessimo di non mandarci più nessuno? In altre parole: se abolissimo la scuola? Non è soltanto il sogno di Lucignolo, bensì una serissima proposta pedagogica, seppure – con tutta evidenza – piuttosto discutibile. La presenta André Stern nel volume Non sono mai andato a scuola. Storia di un’infanzia felice (Nutrimenti, pagine 192, euro 15,00). L’autore, classe 1971, figlio dell’educatore e ricercatore tedesco Arno Stern, è cresciuto seguendo gli innovativi metodi di apprendimento creativo teorizzati dal padre. In questo libro, una sorta di saggio autobiografico, egli racconta come è cresciuto e come si è formato, lontano dall’esperienza più comune a tutti i bambini, quella della scuola appunto. A giudicare dagli esiti della sua carriera professionale – è infatti musicista, compositore, liutaio, oltre che scrittore e giornalista – non si può affermare che l’originalità dei metodi di apprendimento da lui seguiti sulla scorta del- l’impulso paterno gli abbia nuociuto. Crescere senza orari prestabiliti, senza programmi, senza voti e senza pagelle gli ha consentito di maturare spontaneamente – afferma – «in un cammino formativo autonomo». [...]

Non sono mai andato a scuola

di Silvana Mazzocchi - La Repubblica

 

In ogni bambino c'è una genialità potenziale e, per farla sbocciare e nutrirla, basta  lasciarlo giocare. Libero di seguire  le proprie inclinazioni, imparerà spontaneamente tutto ciò che serve  per essere soddifatto e realizzato; conserverà  la curiosità e l'entusiasmo necessari  per continuare ad andare avanti e sentirà di meritare fiducia e rispetto.. [...]

Il bambino senza grembiule

di Arianna Di Genova - Il Manifesto

 

Un mat­tino qua­lun­que, il papà di André tirò giù dalla libre­ria un volu­metto «antico, beige e odo­roso». E lesse la prima frase al suo bam­bino che lo guar­dava con il naso all’insù: «Per molto tempo mi son cori­cato pre­sto la sera». A par­lare è Mar­cel Proust e per André è un incon­tro ful­mi­nante con la let­te­ra­tura. [...]

Jean-Marcel Erre, Il mistero Sherlock

Sherlock in salsa comica

di Luca Martinelli

 

Ma si può mai accostare Sherlock Holmes al comico? Certo che sì, perbacco! Non si fosse mai tentata questa strada, non avremmo avuto né “Vita privata di Sherlock Holmes” – romanzo e film sono spassosissimi – né un’altra grande pellicola: “Senza indizio”.  Adesso ci riprova il francese J.M. Erre che è uscito in libreria con “Il mistero Sherlock”(Edizioni Clichy), un’indagine tutta all’insegna del sorriso ma con tutti gli ingredienti tipici del giallo, resa godibilissima dalla traduzione di Marina Karam. [...]

Se la morte dei fan di Sherlock diventa un'indagine esilarante

di Michele Bocci - la Repubblica Firenze

 

"Partire da Sherlock Holmes per intraprendere un viaggio ironico nei tic dell'accademia, nelle fissazioni di chi vive ancorato a un mito letterario e non riesce ad uscirne. J.M. Erre è un autore brillante, in grado di strappare risate al lettore con uno stile ad alto ritmo, che crea situazioni e le ribalta in poche righe per sottolinearne l'aspetto grottesco.". [...]

Virginie Ollagnier, Un posto per ogni cosa

La sensualità speziata della Rosa del Marocco

di Leonetta Bentivoglio - La Repubblica

 

Un soffio di esotismo, un mix di odori di sensualità pastosa - tabacco, lenzuola, essenze che pungono l'olfatto - potete tuffarvi senza pregiudizi, e senza troppe pretese, ma con la voglia genuina di lasciarvi andare, nel romanzo Un posto per ogni cosa della francese Virginie Ollagnier. C'è un aggettivo che può definire bene questo libro: femminilissimo. Il modello, di sicuro , è Isabel Allende.  [...]

C'è sempre "un posto per ogni cosa"

di Martina Carnovale - Gilt Magazine

 

1979.“Rosa stava per compiere quaranta anni e non era più figlia di qualcuno”. Prima suo padre, poi sua madre e infine Egon, l’uomo che l’aveva cresciuta, l’avevano lasciata. Per questo ora si trovava su un aereo che l’avrebbe riportata in Marocco. Aveva amato due uomini e aveva sposato il primo che glielo aveva proposto. “Non aveva scelto, aveva semplicemente risposto si”. Dopo il matrimonio era andata a vivere in Francia e aveva indossato i panni di Jackie Kennedy, perfetta moglie di un uomo di stato. Ma ora che i suoi figli erano cresciuti ed erano andati via di casa, quel ruolo cominciava a starle stretto.

Solo in Marocco ritornava a essere se stessa, e rinunciava ad avere il controllo su tutto. In quella terra che non considerava sua perché sentiva di averla rubata l’attendeva la verità.  [...]

Karine Tuil, L'invenzione della vita

La nuova vita di Samuel piena di bugie

di Silavan Mazzocchi - La Repubblica

 

Quando segreti e bugie diventano l'unico motore di riscatto esistenziale, si finisce per tradire se stessi costruendo la finzione su macerie di realtà. Nel suo ultimo romanzo, L'invenzione della vita , Karine Tuil, autrice di sperimentato successo, racconta la storia di Sam Tahar, un avvocato ambizioso e spregiudicato che cancella le sue origini arabe, rinnega la banlieu parigina da dove proviene, cambia il suo nome, Samir, con Samuel, si finge ebreo, e diventa uno dei più noti professionisti di New York, dove consuma la sua nuova vita con una moglie ricchissima e due figli inconsapevoli. Facciata per bene che non gli impedisce di inseguire sesso e potere. Ma il passato difficilmente scompare. [...]

 

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